Il termine industria (dal latino industria (-ae), a sua volta di etimologia incerta, che significa “operosità” e “attività”) viene utilizzato in senso lato per indicare qualsiasi attività umana che viene svolta allo scopo di generare beni o servizi.

Storia

Già nella preistoria erano esercitate molte attività di trasformazione dei materiali per ottenere dei beni (ad esempio per la produzione di oggetti in pietra), ma per assistere alla creazione di una vera e propria industria dotata di un complesso sistema organizzativo bisogna attendere fino alla fine del XVIII secolo, quando ha luogo la cosiddetta “rivoluzione industriale”, che ha inizio con lo sviluppo dell’industria tessile in Gran Bretagna, al quale seguì lo sviluppo dell’industria siderurgica.

Nel XX secolo ha luogo un ulteriore progresso dal punto di vista industriale, contraddistinto dall’affermarsi del petrolio e del gas naturale come principali fonti di energia, che ha portato alla nascita di nuovi stabilimenti e con essi nuove opportunità lavorative. Tale crescita economica fu rallentata negli anni settanta a causa dell’avvento della crisi petrolifera, a seguito della quale si verificò uno spostamento della manodopera dal settore secondario (di cui fa parte l'”industria” propriamente detta) al settore terziario (orientato alla fornitura dei servizi), in particolare per quello che riguarda l’industria dell’informatica e della telematica, che si svilupparono durante la seconda guerra mondiale come conseguenza dell’avanzamento in ambito scientifico e tecnologico derivante dalla situazione di rivalità tra le nazioni belligeranti. In seguito a tale trasformazione dell’assetto occupazionale, il termine “industria” venne utilizzato in senso più ampio anche per il settore terziario, in particolare nell’accezione di “industria dei servizi”.

Descrizione

Lo stesso termine viene utilizzato in senso più stretto per indicare alcune attività di produzione di merci, beni, opere, e che rientrano nel settore secondario dell’economia (produzione manifatturiera),[2] distinguendo in questo modo l’industria dalla produzione agricola (settore primario) e dalla produzione di servizi (settore terziario). In senso ancora più stretto, ci si riferisce alla sola produzione di beni del settore secondario in serie, cioè attraverso procedure standardizzate, permettendo quindi la produzione di beni su larga scala, cioè in grandi quantità, a differenza dell’artigianato, dove il prodotto viene realizzato in quantità limitata.

Tale caratteristica rende l’attività industriale più complessa rispetto a quella artigianale, richiedendo l’utilizzo di un modello organizzativo strutturato (ovvero più o meno complesso), applicazione di standard per la produzione in serie, l’impiego di macchine e costose infrastrutture per la produzione, la concentrazione del lavoro in uno o più siti produttivi, uno schema predeterminato di divisione dei lavori, un sistema di distribuzione commerciale articolato su un territorio più vasto e un attento studio di fattibilità (che utilizza gli studi e/o i contributi prodotti principalmente nell’ambito dell’economia industriale e dell’economia aziendale) al fine di minimizzare i rischi per l’impresa derivanti dalla costruzione di uno stabilimento industriale. Di conseguenza in ambito industriale il capitale e l’apporto di natura finanziaria sono predominanti rispetto ad altri fattori (ad esempio l’apporto individuale dell’imprenditore), che sono invece peculiari nell’ambito dell’artigianato.

La produzione industriale

Qualsiasi processo di produzione industriale utilizza le cosiddette “materie prime” che vengono trasformate con mezzi tecnologici per ottenere il prodotto finito, passando eventualmente attraverso la produzione di semilavorati. La trasformazione delle materie prime può essere o comprendere più propriamente lavorazioni di montaggio (assemblaggio) di componenti, seguite o meno da fasi d’installazione del prodotto nell’ambiente di destinazione/impiego.

Il prodotto finito, una volta realizzato, viene inviato alla filiera di distribuzione, attraverso la quale arriva ai consumatori.

I settori principali

L’industria si suddivide in molteplici settori, ognuno con una propria specializzazione ed è in costante mutamento adattandosi di volta in volta alle esigenze del consumo ed alle nuove tecnologie di produzione. Mentre nel passato si utilizzava il termine industria per riferirsi a prodotti tangibili (Manufattura), ormai da tempo lo si impiega anche per i prodotti intangibili ovvero i servizi. Questo perché l’industria non è propriamente un determinato settore produttivo (significato classico e tradizionale) bensì una modalità organizzativa di realizzazione di prodotti o servizi.

Una classificazione dei vari settori industriali può essere la seguente:

  • industria dei prodotti: caratterizzata dalla produzione di beni materiali
    • agricoltura
    • attività commerciali e di distribuzione
    • attività industriali in senso stretto
      • industria mineraria (o estrattiva)
      • industria manifatturiera: relativa alla trasformazione dei beni; include l’industria metallurgica, l’industria chimica, l’industria petrolchimica, l’industria farmaceutica, l’industria meccanica, l’industria automobilistica, l’industria aerospaziale, l’industria ferroviaria, l’industria aeronautica, l’industria elettronica, l’industria del software, l’industria alimentare e l’industria tessile
      • industria energetica: include le attività di trasformazione dell’energia estratta da particolari fonti energetiche in altre forme
  • industria dei servizi: caratterizzata dalla erogazione di servizi
    • bancario e assicurativo
    • trasporto e logistica
    • sicurezza
    • educazione
    • editoria e radio-televisivo
    • consulenza (nell’accezione di “industria della consulenza” ovvero quella erogata dai grandi player internazionali, ad esempio: PricewaterhouseCoopers, Accenture, ecc.)

Un’altra classificazione più dettagliata in base alla tipologia dell’attività produttiva è stata stilata dall’ISIC (International Standard Industrial Classification of All Economic Activities) e prevede l’utilizzo di una sigla alfanumerica costituita da una lettera che indica la macrocategoria (ad esempio agricoltura, industria estrattiva, industria manufatturiera, ecc.) e un numero che identifica maggiormente nel dettaglio il particolare settore produttivo (ad esempio la produzione di latticini è indicata dalla sigla C 105).

Un’altra suddivisione prevede la distinzione tra industria pesante (che necessita di un notevole apporto di capitali e tecnologie) e industria leggera.

Inoltre a seconda della maggiore o minore utilità dei prodotti, si distingue tra “industria di base” (per la produzione di beni indispensabili) e “industria non di base” (per la produzione di beni di interesse secondario).

Industria come dimensione economica

Come spiegato sopra è diffuso, specie nel linguaggio giornalistico o sociopolitico, il tradizionale significato di industria come sinonimo di “manifatturiero” cioè l’insieme dei settori della produzione di beni materiali se eseguita da aziende non artigiane, in pratica medio-grandi imprese. Questo è anche dovuto al fatto che taluni CCNL italiani si riferiscono ad “industria” altri ad “imprese artigiane”. In realtà, in termini più contemporanei e soprattutto con un’ottica diversa, industria è una modalità produttiva, una dimensione tecnico-economica che riguarda qualsiasi settore, ivi compreso il commercio/distribuzione e i servizi.

Infatti, è arduo sostenere che i gruppi bancari o editoriali, la grande distribuzione organizzata, i player mondiali dell’IT o dell’e-commerce, le enormi società di consulenza multinazionali e altri casi analoghi, non siano industria. Tanto è vero che ad alcune associazioni datoriali che hanno nel nome il termine “industria” fanno parte grandi imprese del commercio e servizi.

In quest’ottica dire “industria” o “livello industriale” significa, concretamente: proprietà diversificata, alto numero di addetti, catena di fornitura complessa, distribuzione su mercati in larga scala (spesso extra nazionale), diversi servizi di supporto all’attività principale, organizzazione e sistema di gestione articolati, risultati economici rilevanti, conduzione manageriale, disponibilità finanziaria importante e altre caratteristiche tipiche. Pertanto, non rileva il tipo di prodotto o di servizio, la tradizionale scomposizione in settori economico-produttivi, quanto la dimensione e tipologia di azienda che si considera industria.

Gli effetti e risvolti sociali

L’attività industriale nasce con lo scopo di ottenere un bene che soddisfi i bisogni del consumatore finale.
Assieme al bene, viene creato valore aggiunto, che si traduce in ricchezza per l’impresa che lo produce.

Al fine di ottenere il maggiore vantaggio per l’impresa, la produzione del bene richiesto deve avvenire nel modo migliore e con il miglior rapporto costo/beneficio, che in termini economici significa col massimo profitto a parità di spesa. Per arrecare il massimo vantaggio al consumatore, tale bene deve inoltre soddisfare dei criteri minimi di qualità, che devono essere controllati durante tutte le fasi del processo produttivo.

Oltre alla produzione dei beni e del valore aggiunto, un altro effetto positivo dell’industria è la creazione di lavoro sia diretto (cioè all’interno del sito industriale) che nell’indotto.

Dall’altra parte l’attività industriale è spesso associata a rischi per la salute umana e per l’ambiente, soprattutto nelle zone interessate da tale attività produttiva. Ciò è dovuto al fatto che assieme ai beni desiderati possono essere prodotte delle sostanze non desiderate che possono essere tossiche o non biodegradabili. L’inquinamento provocato da tali sostanze può riguardare, l’aria, l’acqua o il suolo. Un’altra forma di inquinamento associata alle attività industriali è l’inquinamento termico, che è causato dallo scarico di acqua ad elevata temperatura (proveniente dai circuiti di raffreddamento degli impianti) in mare, nei fiumi o nei laghi. Ciò determina delle pericolose modifiche negli ecosistemi acquatici, con gravi conseguenze per la vita degli esseri viventi che li popolano.

Italia

In Italia, l’Inps da decenni categorizza taluni settori di attività (datori di lavoro) come “industria”, indipendemente dal contratto collettivo. Questa è una classificazione che ha rilevanza unicamente per le procedure previdenziali e argomenti correlati italiani.

https://it.wikipedia.org/wiki/Industria#cite_note-eni-10

 

 

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