La spinosa differenza tra servizi di portierato e di vigilanza privata

La legge 342/2000 ha abolito integralmente l’art. 62 del T.U.L.P.S. che delineava la figura del “portiere o custode” e obbligava i rappresentanti di questa categoria all’iscrizione in appositi registri, stabilendo altresì che per operare nel settore bisognava godere di “buona condotta”.

I “portieri o custodi”, svolgendo indubbiamente, seppur con i dovuti distinguo, attività di custodia della proprietà pubblica o privata, erano ritenuti dal legislatore del 1931 quali ausilio alla forza pubblica al pari delle guardie giurate.

La successiva riforma del 2003 (Legge Biagi), che istituì la somministrazione di lavoro di appalti e servizi, favorì la nascita dei “global service”, alcuni dei quali si affacciarono al mondo della tutela del patrimonio senza essere vincolati da nessuna normativa, se non all’obbligo di includere, nei loro compiti statutari, quelli propri del portierato.

Al contrario invece, gli istituti di vigilanza e le agenzie investigative, da sempre, per poter operare nell’alveo della legalità, devono sottostare a stringenti requisiti per ottenere e mantenere le autorizzazioni prefettizie necessarie, osservando pedissequamente le norme che regolano la materia, come ad esempio, la recente “certificazione degli istituti di vigilanza” imposta dal DM 115/2014.

Quasi tutti i riferimenti normativi riguardanti i servizi di portierato si trovano in circolari emanate dagli Uffici Territoriali del Governo a livello locale e nel “Vademecum Operativo – Disposizioni operative per l’attuazione del Decreto Ministeriale 1.12.2010, nr.269, in materia di capacità tecnica e qualità dei servizi degli istituti di vigilanza ed investigazione privata” diramato dal Ministero dell’Interno.

Quest’ultimo definisce – cito testualmente – “spinosa” la differenza tra servizi di portierato e quelli di vigilanza privata, tracciandone i confini “per esclusione”, ovvero facendo rientrare i primi nelle fattispecie non espressamente previste dalla norma vigente per i secondi.

Grazie all’avverbio “espressamente” si vede, frequentemente, trasformare un servizio di “piantonamento notturno” in un più favorevole “servizio di permanenza notturna”, così come la tele-vigilanza si può trasformare d’incanto in “assistenza tecnica agli apparati di videosorveglianza”  permettendo, imprudentemente, in entrambi i casi, di impiegare un più economico servizio di portierato al posto della più costosa guardia giurata.

Questo è e rimane un esercizio puramente linguistico, coniare una nuova terminologia non è sufficiente ad evitare le sanzioni stabilite dalla legge qualora la permanenza mascheri in realtà un vero e proprio piantonamento.

La differenza c’è ma spesso non si vede

La differenza sostanziale tra la figura della guardia particolare giurata e l’operatore di portierato è stata ribadita dall’ANAC con la “determinazione n. 9 del 2015” che caratterizza le prime per l’esercizio di poteri di intervento diretto per la difesa dell’immobile mentre, per le seconde non implica un obbligo di difesa attiva degli immobili, ma una “normale” tutela della proprietà privata e della funzionalità di aziende o complessi.

Le GPG sono titolari di poteri di intervento diretto per la difesa dei beni sottoposti alla loro vigilanza con il conseguente obbligo di cooperare con l’autorità di Pubblica sicurezza per la loro salvaguardia.

Di conseguenza, queste ultime, non possono essere adibite a nessuna mansione diversa da quella della tutela diretta del patrimonio, mentre, per il portierato, è possibile impiegare il personale anche per compiti inerenti la funzionalità dell’azienda committente, quali la registrazione dei visitatori, il controllo ed ispezione degli accessi, la regolazione dell’afflusso delle vetture ai parcheggi, etc.

La regolamentazione dei servizi di portierato, al contrario di quelli demandati alla vigilanza privata, è basata principalmente sul concetto di esclusione: i servizi propri della vigilanza privata non possono essere eseguiti senza l’autorizzazione prefettizia.

Per quanto attiene “la normale tutela della proprietà privata” demandata ai servizi di portierato, l’art. 383 del codice di procedura penale  stabilisce che: ogni persona è autorizzata a procedere all’arresto in flagranza di reato con l’obbligo di consegnare senza ritardo l’arrestato e gli oggetti costituenti il corpo del reato alla polizia giudiziaria”.

Questa facoltà è esercitabile esclusivamente per i reati per i quali la legge prevede l’arresto obbligatorio nella flagranza (art. 380 C.P.P.) e soprattutto autorizza, ma non obbliga, “ogni persona” a procedere nei casi consentiti dalla legge .

Seguendo pertanto il ragionamento alla base della materia in esame, la facoltà concessa al comune cittadino può essere, in questo caso per inclusione e non per esclusione, concessa anche al portiere, entrando però inevitabilmente in conflitto con i compiti peculiari delle guardie particolari giurate che, come sottolinea l’ANAC “esercitano poteri di intervento diretto”.

La tutela diretta rimane quindi inequivocabilmente un compito non demandabile contrattualmente a persone non in possesso della qualifica di guardie giurate.

L’obbligazione in solido del committente

Tutta la filosofia sulla materia è strettamente collegata all’offerta. Oggi possiamo trovare un servizio di portierato a 10€ orarie, mentre per un servizio di vigilanza la tariffa raddoppia.

L’eccessiva liberalizzazione dei prezzi di mercato ha penalizzato le società che si occupano di formare i loro operatori per la specificità del ruolo che devono ricoprire, investendo tempo e danaro per accrescere la professionalità del proprio personale. Il servizio di portierato è il biglietto da visita che l’azienda committente offre ai propri clienti e pertanto la formazione riveste una particolare rilevanza per poter dare un servizio impeccabile all’azienda committente.

Pagare meno di 12 € \ora per un portierato può essere un azzardo, sia per la qualità del servizio e sia per la probabilità che, sotto quella tariffa, facciano lo loro comparsa “fantasisti fiscali” che, districandosi abilmente tra rimborsi spese e ore effettivamente prestate dal personale impiegato, si assicurano un profitto nonostante il prezzo eccessivamente basso con il quale viene offerto il servizio.

Sovente, a seguito di controlli dell’ispettorato del lavoro o di denunce del personale che non si vede versare regolarmente i contributi previdenziali, le aziende, economicamente (troppo) convenienti, hanno vita breve, lasciando poi alla committente gli oneri dell’obbligato in solido.

Per questo motivo è importante la verifica non solo del DURC ma soprattutto la corrispondenza tra le ore effettivamente prestate dagli operatori con quelle indicate nelle singole buste paga.

A tal proposito l’art. 29 della Legge Biagi è chiarissimo: “ il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori, entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto d’appalto”

La responsabilità della committente poi è richiamata anche dagli artt. 2 e 30 del D.Lgs. n. 81/2008 “Testo Unico della Sicurezza sul Lavoro” che, in relazione al D.Lgs. 231/01, hanno messo  in evidenza la necessità di un’efficiente organizzazione d’impresa e della gestione consapevole dei rischi operativi al fine della prevenzione in materia antinfortunistica e ambientale. È dovere anche della committente accertarsi che sia stata somministrata al personale operante della società incaricata la formazione obbligatoria e che gli operatori siano dotati, qualora richiesti, dei necessari dispositivi di protezione individuali.

Conclusione

Ho voluto affrontare questo tema poiché durante una attività di auditing ho verificato, personalmente, in quale giungla ci troviamo ancora oggi a distanza di anni; conoscendo i traballanti pilastri che regolano la materia è possibile per chiunque operare sulla linea di confine tra i compiti della vigilanza e quelli del portierato.

Spero che la mia visione sulla “spinosa” materia, con la quale professionalmente mi confronto da quasi 15 anni, possa fornire spunti di riflessione ma soprattutto che – a livello centrale – vengano delineati, finalmente in maniera inequivocabile, i confini tra i servizi di vigilanza e quelli di portierato senza dubbi interpretativi o arditi esercizi lessicali e che venga  riconosciuta, ufficialmente, la professionalità dell’operatore dei servizi di custodia e portierato in quanto attore co-protagonista della tutela del patrimonio pubblico e privato.

Riferimenti normativi:

  • Legge 14 febbraio 2003 n. 30 (legge Biagi)
  • Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza
  • D.M. 115/2014
  • D.M. 269/2010
  • L. 342/2000
  • D.lgs 81/2008
  • D.lgs 231/2001

A cura di: Davide Di Giovanni

Fonte: https://www.safetysecuritymagazine.com/articoli/la-spinosa-differenza-servizi-portierato-vigilanza-privata/

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