Il settore del non profit è cresciuto del 41% in dieci anni, più del doppio del Pil americano, ma la sharing economy va ben oltre. Grazie a lei oggi si può viaggiare, finanziare un progetto, fare impresa, studiare, persino mangiare a costo e impatto zero, oppure risparmiando. Gli esempi più noti sono Linux, Google, Wikipedia, Youtube, Skype, strumenti che ci permettono di utilizzare sistemi operativi, di ricercare informazioni e poter comunicare gratuitamente senza confini. C’è tuttavia chi è convinto che la sharing economy oltrepassi la condivisione virtuale e possa allargarsi a qualsiasi tipo di oggetto o competenza, dando vita ad una comunità globale di beni comuni.
In effetti, purché lo si voglia, si può sparire qualsiasi cosa e sono numerose le iniziative a muoversi in questa direzione e che vale la pena diffondere. Vanno dalla condivisone degli spazi abitativi inutilizzati, mettendo a disposizione un alloggio ai turisti con il Couchsurfing, alla condivisione dei propri veicoli grazie al Car sharing, che connette viaggiatori con le stesso itinerario, riducendo così traffico, consumi ed emissioni. Il Tir-Sharing permette invece di sfruttare il viaggio di rientro “a vuoto” degli autocarri per spedizioni o traslochi a basso costo. Sempre più popolare è anche il Crowdfunding, il quale, attraverso la condivisione su rete di un progetto, aiuta il suo finanziamento e la sua diffusione, promuovendone la realizzazione, mentre Crowd Companies, riunisce aziende che vogliono investire nella sharing economy realizzando così marchi e prodotti resilienti.
Iniziative di Co-working e Co leaving sono altri esempi di fantastiche opportunità a disposizione. Si tratta di progetti di condivisione di spazi, idee, lavori, di impareggiabile valore culturale e sociale. Alcuni realizzati su suolo italiano e a questo dedicati come Casa Netural a Matera, altri invece a sfondo internazionale come Workaway o Wooff che connettendo necessità e risorse offrono la possibilità di svolgere una esperienza di volontariato o scambio lavoro di qualsiasi tipo, a costo zero, ovunque nel mondo.
Se invece voleste condividere i vostri talenti e nel contempo arricchirvi di nuove competenze allora la Banche del Tempo, l’Università del Saper fare, e Timerepublik sono le comunità che fanno al caso vostro. In particolare, se foste interessati ad imparare una nuova lingua, il giardino delle lingue di Buusu, è il social network che vi mette in diretto contatto con madre lingua, rendendovi nel contempo studenti e insegnanti.
Condividere significa innanzitutto produrre meno sprechi, il che non solo è vantaggioso per il pianeta ma torna anche utile nell’economizzare quotidiano. Per esempio, un individuo comune utilizza un trapano per una media di 4 minuti in tutta la sua vita. Chiederlo in prestito utilizzando la Biblioteca delle cose o Collaboriamo sembra dunque molto più sensato che comprarlo. Sempre per ridurre gli sprechi, in particolare dei prodotti alimentari in scadenza ancora commestibili ma non più vendibili, è nato invece il Foodsharing.
Presi dal vintage non possiamo farci mancare il ritorno al baratto di Reoose, un portale in cui è possibile scambiarsi gli oggetti. Potrà apparirvi bizzarro ma in alcune zone di Italia vi sono addirittura attività commerciali che hanno deciso di tornare con successo al baratto. L’osteria “l’è maiala” di Firenze ne è un esempio.
La sharing economy allargata alle necessità di un quartiere ha dato invece vita alle Social Street, intrecciando le vite dei residenti nella condivisione di beni, esperienze e competenze con il proprio vicinato, mentre l’Emporio sociale di Modena, attraverso la collaborazione con i servizi sociali permettere la condivisione di spese al mercato da donare ai meno abbienti.
Tutte queste azioni non solo offrono un servizio ma sono volte a recupero del senso di comunità in tutte le sue accezioni. Una comunità non solo da un punto di vista locale e globale, ma soprattutto più umano e sociale, una comunità che risponde alle proprie esigenze e non a quelle del mercato.
Fonte: ilfattoquotidiano.it
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